Non leggere nulla. Frequenta, osserva. Così mi disse un fratello sardo, poche ore dopo la mia iniziazione. “Sardi… gente pigra” pensai tra me e me. Molti Fratelli presenti quel giorno mi diedero consigli all’apparenza più profondi, ma quello mi è rimasto impresso più di tutti.
Di quel giorno, in realtà, ricordo soprattutto le mie ultime ore da profano. Rinchiuso nel gabinetto di riflessione, cercavo di capire se quegli oggetti di fronte a me fossero da combinare in qualche modo per guadagnarmi l’uscita.
Magari devo girare questa specie di triangolo” mi chiesi.
Forse se butto il sale sul pane succede qualcosa” pensai.
Poi ricordai la frase che trovai sul sito della nostra Loggia Santini, “che tu sappia che presso di noi tutto è simbolo”, e non feci più nulla. Aspettai che qualcuno venisse a prendermi. Di ciò che accade dopo, nella mia memoria restano frammenti: suoni, sensazioni, le suggestioni, la percezione labirintica della casa massonica, il cuore che batteva forte e l’improvvisa immagine un po’ confusa fatta di spade, grembiuli e facce serie.

Ricordo molto meglio la tornata rituale successiva, o meglio, la sua preparazione.
Vieni apprendista. Vieni a preparare il Tempio.”
Iniziò il primo andirivieni tra armadietto e questa Sala.
Per la prima volta vidi uno per uno tutti gli ornamenti, i gioielli, le armi, ognuno con la sua posizione da manuale, ognuno con un segno o riconducibile a un numero. In quel momento la frase “presso di noi tutto è simbolo” mi sembrò meno attraente.
Manuale alla mano e supportato dai fratelli più anziani iniziai a distribuire per il tempio gli oggetti a mia disposizione cercando una logica.
Ci sono persone dotate di una memoria allenata e formidabile. Io non ricordo nulla se non trovo una logica. E così provai a fare.
I candelabri vanno al venerabile e a i due sorveglianti, cioè alle tre luci del tempio. Luci, candelabri; logico, posso ricordarlo. Il candelabro con più braccia va al Venerabile, poi a scalare per il primo e secondo sorvegliante. Logico, posso ricordarlo. Le colonne: dorica, ionica, corinzia; secondo sorvegliante, primo sorvegliante, venerabile. Logico ma sbagliato, inverti l’ordine delle colonne dei sorveglianti. Logica più eccezione, posso ricordarlo.
“Fratello, dove vanno questa squadra e questo compasso?” chiesi a un certo punto.
“Nel libro sacro sovrapposti in maniera diversa a seconda del grado del rituale.”
Squadra e compasso. Un simbolo dinamico. Logica nella logica. Sfida nella sfida. Nel grado di apprendista la squadra si sovrappone al compasso; nel grado di compagno si incrociano; nel grado di maestro il compasso è sovrapposto alla squadra, così come l’ho sempre visto nella simbologia massonica. Perché? Qual è la logica? Qual è il suo significato?
Passarono altre tornate e altrettante preparazioni del tempio. Pian piano altri simboli avevano trovato la loro logica posizione nel tempio della mia memoria, ma la squadra e il compasso erano ancora in sala d’attesa.
Finché una notte, dopo aver letto qualche capitolo de I Pilastri della Terra, il libro di Ken Follet che racconta la storia della costruzione di una cattedrale, non riuscivo a dormire. Mentre fissavo insonne il soffitto, immaginavo mani che, usando la squadra, disegnavano linee che erano dritte e precise e insieme costruivano figure spigolose e innaturalmente perfette. Poi, le stesse mani iniziarono a usare il compasso per disegnare linee sinuose, archi perfetti che insieme costruivano figure morbide, senza spigoli. Insieme squadra e compasso disegnavano elementi concreti di un edificio solido ed elegante.
Il ricordo di questa immagine è tutto ciò che oggi mi serve per ricordare senza alcun dubbio la giusta sovrapposizione di squadra e compasso.
La logica di quel simbolo, per me, non è fatta di parole; è fatta di immagini che spiegano meglio di quanto le mie parole possano definire. D’altronde, etimologicamente definire significa limitare, circoscrivere e suppongo che limitare non sia ciò che vogliamo fare nel nostro Tempio.
Ho la speranza che l’immagine che si formò quella notte nella mia mente possa aiutarmi a portare avanti il mio percorso interiore per diventare un giorno maestro massone.

Questa mia personale esperienza mi ha portato a ragionare sul valore dell’uso del simbolo in contrapposizione al concetto rivelato a parole, che sia in massoneria o nella vita profana.
Credo che molti di noi non siano pronti ad accogliere un concetto che possa cambiare il nostro punto di vista quando quel concetto è descritto a parole. Le parole impongono i limiti di chi le ha pensate. Inoltre, anche l’affermazione più sacrosanta, che possa portarci a un miglioramento tangibile del nostro vivere, viene elaborata dal nostro cervello con diffidenza. Perché?
La scienza può darci una risposta. Il cervello umano non è strutturato per inseguire la felicità, bensì per preservaci dai pericoli. Un concetto nuovo, che arriva all’improvviso, è qualcosa che può cambiarti, e il cambiamento è percepito istintivamente come un pericolo, perciò inconsciamente ne diffidiamo.
L’unico cambiamento che siamo sempre disposti ad accettare di buon grado è quello che lentamente cresce dentro di noi. Non c’è nulla che ci sembri più convincente di ciò che capiamo da soli dopo ore, giorni, mesi, anni passati a scervellarci alla ricerca del significato di quello che è sempre sotto i nostri occhi. È per questo motivo che percepisco il simbolo come un mezzo potentissimo, capace di tramandare un concetto complesso nel rispetto dell’unicità del cammino interiore che ognuno di noi intraprende.

Quando un giorno da maestro avrò ancora la fortuna di assistere a una nuova iniziazione, credo che dirò al mio nuovo fratello apprendista poche semplici parole: Non leggere nulla. Frequenta, osserva, rifletti.

Così ho detto.
A∴M∴