Prima di parlare del silenzio ritengo sia necessaria una piccola premessa sulla parola.

Infatti con essa si esprime pienamente un pensiero, un desiderio, un’accettazione, un comando. Con la parola si entra rapidamente in relazione con gli altri, ottenendo subito una risposta positiva o negativa, un encomio o una critica. Essa rappresenta lo strumento principe e sovrano delle relazioni umane, nonostante l’essere umano disponga anche di un linguaggio non verbale come può essere un sorriso, il pianto, la smorfia e tutte le altre mimiche facciali e posture personali.

La parola è anche per me, precisamente nella mia vita profana, uno strumento di tutti i giorni in quanto ciò che dico ma anche come lo dico può avere effetti su determinate persone. Pertanto non nascondo che all’inizio ho trovato piuttosto difficoltoso stare in silenzio, poiché in contrasto con la mia persona, in contrasto su come sono nelle relazioni con gli altri. Di conseguenza mi sono chiesto perché? Perché l’apprendista deve stare in silenzio?   

Personalmente ritengo che non sussista una risposta univoca a questa domanda, in quanto ognuno di noi, scavando dentro di sé può trovare differenti risposte. Tuttavia questo scavarsi dentro di sé, per me, può essere effettuato soltanto attraverso il silenzio stesso. Aveva ragione Gandhi, quando diceva che “il silenzio apre una via”, in quanto senza di esso non sarei stato in grado di lavorare su me stesso.

Tale lavoro da parte mia è stato svolto in due fasi, strettamente connesse tra loro: la prima strettamente connessa all’apprendimento del rituale in loggia. Difatti successivamente alla mia iniziazione, mi sono trovato catapultato in nuovo mondo per così dire “ritualizzato” e soltanto con l’ausilio del silenzio ho avuto modo di iniziare ad assimilare e approfondire i diversi significati di quello che vedo e che odo nel tempio nonché di rivivere ancora per diversi giorni e di comprendere sempre più parti di quel grande puzzle che virtualmente viene inscenato ad ogni tornata.

Quando piano piano quello che mi circondava stando in silenzio cominciava ad avere senso, mi si è aperta la seconda fase, cioè il guardarsi dentro attraverso il silenzio. Difatti il guardare ed approfondire cioè che accade in tornata, per me non è stato altro che una palestra per guardarmi ed approfondire me stesso. Attraverso il silenzio ho potuto approfondire questo “sconosciuto”, questo “Me Stesso”, di cui mai avevo avuto sentore, immerso com’ero nella confusione e nel frastuono del mondo profano.

Tale approfondimento, tra le altre cose, mi ha portato ad una maggiore comprensione della stretta correlazione tra parola e silenzio, che per me può essere riassunta nella frase attribuita a Pitagora “aut tace aut loquere meliora silentio”, cioè o tacere o parlare migliorando il silenzio. In altri termini il silenzio mi è servito a comprendere meglio l’utilizzo della parola, in quanto solo attraverso di esso sei in grado di dare un senso a quello che dici, o che stai per dire, appunto a migliorare lo stato precedente. Difatti la parola è uno strumento bellissimo ma allo stesso tempo pericolosissimo. Per capire meglio questa affermazione è necessario fare un passo indietro nel tempo: tutti noi da bambini abbiamo giocato al telefono senza fili e tutti noi da bambini abbiamo riso quando l’ultimo della fila pronunciava una parola diversa da quella da cui si è iniziato.

La bellezza e la pericolosità menzionate stanno proprio lì: noi intraprendiamo un percorso iniziatico per migliorare noi stessi, ma se facciamo un uso distorto della parola, questa anziché migliorare il silenzio, può recare un danno a se stessi e agli altri. Quanto volte si è assistito ad un uso alterato della parola, quanto volte abbiamo detto cose non vere, quante volte abbiamo intenzionalmente attribuito ad altri parole diverse da quelle effettivamente pronunciate solo per ottenerne un vantaggio? Solo attraverso il silenzio una persona è in grado di comprendere l’importanza vera della parola e ad utilizzarla nel modo corretto.

Tanto premesso, la mia risposta alla domanda precedente, perché l’apprendista deve stare in silenzio, è che attraverso il silenzio l’apprendista può, da un lato, lasciar risuonare in se stesso le parole che gli giovano e di conseguenza di lasciar scivolare via le altre parole che non vibrano in sintonia con lui e, dall’altro, può comprendere un corretto uso della parola e cioè parlare per creare quel miglioramento tanto per se stesso che per gli altri che lo ascoltano.

Ciò per me rappresenta lo stretto legame che sussiste tra silenzio e parola. Ho detto.

PN