Dal primo momento che entrai nel gabinetto di riflessione e poi in officina mi chiesi come mai vi erano in massoneria cosi tanti simboli che rimandavano alla morte.

Come i colori dominanti, le luci delle candele, i profumi dell’essenze che vengono usati per purificare il tempio o il teschio, il tutto mi ha fatto provare una sensazione apparentemente lugubre. Se mi era fin troppo chiaro il richiamo alla morte per il profano che doveva lasciarsi alle spalle, nel gabinetto di riflessione, la propria vita precedente, sottoscrivendo un testamento simbolico per poi diventare attraverso delle prove e un giuramento solenne “fratello”, e quindi rinascere a nuova vita, non riuscivo a capire perché questa simbologia, questa atmosfera, doveva esserci anche nel tempio.

Il nostro tappeto di loggia, costituito da un insieme di quadrati bianchi e neri, rappresenta le forze contrarie che si confrontano nella lotta per la vita: l’eterna partita di scacchi che l’uomo si vede costretto a giocare, suo malgrado, con la morte. La morte ci concede il privilegio della prima mossa e insieme, luce e buio, bianco e nero, ci accompagnano per mano sulla sottile linea della vita.

Alla vita affidiamo il futuro, il domani, i nostri figli, i nostri sogni, le nostre speranze. Con la morte questa fiducia ci viene negata e siamo portati a considerarla promessa di un’esistenza ultraterrena, quindi troppo labile. Temiamo l’ignoto e così, ad esempio, la separazione dalle persone amate, eppure dovremmo considerare la vita come il preludio di un grande viaggio, una ricerca dell’immortalità.

Non siamo sicuri e certi e, alla fine, combattiamo per la nostra sopravvivenza, generazione dopo generazione, con le nostre esigue armi che ci vengono messe a disposizione dalla scienza e dalla tecnologia medica. Destinati alla sconfitta, continuiamo a vivere nell’apparente illusione che la morte non debba essere un nostro problema. Rimuoviamo la sua presenza dalla nostra vita e ignoriamo cosi l’inaccettabile, per poi, sgomenti e disperati, ritrovarcela vicino, in particolare quando ci porta via un caro amico o un genitore.

È forse proprio il “segreto” che i nostri padri volevano svelare: la nostra esistenza non può non tenere conto di questa presenza costante della morte tanto nella vita, quanto nella simbologia del tempio. Abbiamo gli strumenti per sconfiggerla. L’immortalità non segue la morte, ma è parte della vita stessa. Il nostro intelletto, le nostre passioni, i nostri amori, le nostre emozioni sono immortali.

La “luce” che noi cerchiamo e che per noi massoni ha un’importanza essenziale significa, come sappiamo, anche rinascita. Rinasciamo, infatti, alla consapevolezza di essere immortali, parte di un Dio creatore, parte del cosmo, pietre di un grande progetto, testimoni viventi delle tradizioni antiche. Anelli di un’unica lunga catena, congiungiamo ognuno di Noi il passato con il futuro. Forse non è un caso che nei momenti di alto valore, simbolicamente, ci uniamo in una “catena d’unione” e, tutti insieme, ricostituiamo, unendoci in cerchio, un anello che ci lega insieme tra “fratelli” della stessa officina, e allo stesso modo idealmente testimoniamo un legame indissolubile tra i “fratelli” del passato con quelli che ci seguiranno.

A∴R∴